Sta vivendo un vero e proprio boom la pinsa romana, la “sorella minore” della pizza dalla quale si distingue per miscela di farine, lievitazione e alta presenza di acqua. L’anno scorso ha registrato +182% (dati Nielsen), il suo impasto ormai si trova anche in molti supermercati e i locali che la propongono sono sempre di più, non solo nelle grandi città.
Quali farine e lievito si usano e come si cuoce
“Piace per la sua consistenza e leggerezza, esterno croccante e interno morbido, e soprattutto per la sua elevata digeribilità che dipende da un insieme di fattori”, spiega Elena Gerli, biologa nutrizionista, consulente nutraceutica e fondatrice del sito unanutrizionistaperamica.it. “Innanzitutto l’impasto è composto da farina di frumento, di riso e di soia, in ordine di quantità. In secondo luogo, si fa con il lievito madre che garantisce una lievitazione lunga che va da un minimo di 48 ore a oltre 72. Questo significa che la pancia non si gonfia come spesso accade con le pizze a lievitazione breve. A favorire la lunga lievitazione, anche l’aggiunta di acqua fredda nell’impasto e la presenza delle proteine contenute nella farina di soia. La cottura avviene in due momenti: c’è una prima scottatura, poi la pinsa viene fatta raffreddare per togliere l’eccesso di acqua che è presente al 75-80%, infine si aggiunge il condimento a scelta e si completa la cottura”.
Le calorie della pinsa e della pizza

Nella guerra alle calorie chi la spunta? “Il vantaggio della pinsa è che ha un basso carico glicemico, valore che indica quanto il prodotto finale, completo di tutti gli ingredienti, faccia alzare il livello di zuccheri nel sangue”, prosegue l’esperta. “Poca differenza, invece, per le calorie: per 100 g di base di prodotto, 200 kcal per la pinsa contro 300 per la pizza. In commercio si trova anche una linea senza glutine”. La moda (e il business) è così impazzita da favorire la nascita di un’associazione che si premura di verificare che le pinserie attive usino gli ingredienti adatti per rispettare la ricetta. E Marco Montuori, pizza-chef con la passione anche della pizza acrobatica, ha aperto la Pinsa School con sede, ovviamente, a Roma.
Quando nasce
La pinsa ha origine nell’antica Roma quando le popolazioni contadine che abitavano fuori le mura cucinavano queste schiacciatine triturando le farine di miglio, orzo e farro. Il termine pinsa deriva dal latino pinsere che significa macinare. Nei secoli le rivisitazioni sono state diverse, a partire dalla forma, oggi più allungata e ovale.
Abbinarla alla birra ottenuta… dal pane raffermo
L’abbinamento più amato per pizza e pinsa è la birra: la più innovativa è quella fatta dal recupero del pane raffermo. Il civraxiu, tipico pane sardo da semola di grano duro, invenduto dei panifici Calabrò di Sant’Antioco viene tostato e nel birrificio Rubiu sostituisce una parte del malto diventando uno degli ingredienti della linea Pane liquido Santa Birra. Un inaspettato esempio di economia circolare.
Dal mio articolo su Natural Style
Credito foto in apertura: Pinsa a fette, Victoria Shes/Unsplash.
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