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Il botulino non "ama" lo yogurt perché è un ambiente acido (📸Imoflow/Pixabay).

Nel piatto è tutto un fermento

Yogurt, kefir, pane, vino, birra, crauti e formaggi sono i cibi fermentati più noti. Poi ci sono quelli con cui stiamo diventando familiari: il sakè, la bevanda di riso giapponese, il tè kombucha, il tempeh, nato dai fagioli di soia fermentati come il miso. Poi quelli che non ti aspetti, come la pasta. Insomma, è un mercato “in fermento”, tanto che anche dal Cibus, il salone internazionale dell’alimentazione di cui si è appena concluso la 20a edizione a Parma, arrivano novità e curiosità, come lo yogurt di avena e il grattugiato vegetale realizzato con anacardi e noci di macadamia messi in ammollo con acqua e fermenti lattici per circa 10 ore.

Batteri, lieviti e muffe al lavoro per noi

Cetriolini fermentati in vasetto di vetro
Cetriolini fermentati

Spontanea, come accade nel crauto perché parte da microrganismi già presenti in quell’alimento, o indotta attraverso uno starter, la fermentazione non è solo un metodo di conservazione come si usava nell’antichità. “Dà origine a cibi modificati in cui batteri, lieviti e muffe trasformano principalmente gli zuccheri presenti nell’alimento in altre sostanze, come alcol o acido lattico a seconda del microrganismo coinvolto”, spiega Leslye Pario, biologa nutrizionista. “I cibi fermentati sono più digeribili e diversi studi scientifici stanno mettendo in luce la loro importanza per la salute del nostro intestino: aiutano a ristabilire l’equilibrio della flora batterica, il cosiddetto microbiota, e a favorirne la biodiversità. Più specie di microrganismi buoni ci sono nell’intestino (ce ne sono centinaia di miliardi), maggiore è la sua salute e più forte sarà il nostro sistema immunitario. Infatti, i batteri buoni nell’intestino producono sostanze benefiche per le nostre difese come vitamine e acidi grassi a catena corta”. 

Probiotico, sì o no?

Quando però raggiungono gli scaffali dei negozi, non tutti gli alimenti prodotti attraverso la fermentazione contengono microrganismi vivi. “L’impasto usato per fare il pane con il lievito madre, per esempio, è fermentato da batteri che vengono  distrutti durante la cottura. La stessa cosa accade con la pastorizzazione. Questi tipi di prodotti mantengono comunque la fondamentale caratteristica di essere più digeribili”, conclude la dottoressa Pario. Che precisa: “È scorretto definire un cibo fermentato come probiotico. Da regolamentazione, un probiotico deve arrivare in una certa quantità nell’intestino e svolgere le sue funzioni benefiche. L’alimento fermentato può anche contenere microrganismi probiotici, ma di solito in quantità insufficiente per definirlo tale a meno che non sia indicato in etichetta. Scegliere alimenti fermentati significa comunque aiutare la nostra pancia a lavorare meglio in autonomi a”.

Dal mio articolo su Natural Style

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