Trovate per la prima volta microplastiche nel sangue umano. L’impatto sulla salute è ancora sconosciuto. I risultati della ricerca, condotta nei Paesi Bassi e coordinata dalla Vrije Universiteit di Amsterdam, sono stati pubblicati sulla rivista Environment International. Gli scienziati hanno rinvenuto le microplastiche in quasi l’80% delle persone testate. Hanno analizzato campioni di sangue di 22 donatori anonimi, tutti adulti sani, e hanno trovato particelle di plastica in 17. La metà dei campioni conteneva plastica Pet (polietilene tereftalato), che è comunemente usata nelle bottiglie di bevande, mentre un terzo conteneva polistirolo, usato per imballare il cibo e altri prodotti. Un quarto dei campioni di sangue conteneva polietilene di cui sono fatti i sacchetti di plastica.
“Il nostro studio è la prima indicazione che abbiamo particelle di polimeri nel nostro sangue, è un risultato rivoluzionario”, ha detto Dick Vethaak, ecotossicologo della Vrije Universiteit di Amsterdam. “Dobbiamo estendere la ricerca e aumentare le dimensioni del campione, il numero di polimeri valutati e così via. Ulteriori studi da parte di diversi gruppi sono già in corso”. L’Organizzazione nazionale olandese per la ricerca e lo sviluppo della salute e Common Seas, un’impresa sociale che lavora per ridurre l’inquinamento da plastica, hanno finanziato la ricerca.
Due tipi di microplastiche
L’Istituto europeo per la sicurezza alimentare (EFSA) definisce microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5 000 micrometri (µm), o 5 millimetri, per dare un’idea. Le nanoplastiche misurano da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri). In base alla loro origine, riporta il sito del Parlamento Europeo, le microplastiche possono essere suddivise in:
1. Primarie
- Rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle.
- Si stima che questa categoria di microplastiche rappresenti il 15-31% delle microplastiche presenti nell’oceano.
- Fonte principale: lavaggio di capi sintetici (35% delle microplastiche primarie).
- Abrasione degli pneumatici durante la guida (28%).
- Microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo (per esempio, le micro-particelle dello scrub facciale) 2%.
2. Secondarie
- Prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca.
- Rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti nell’oceano.
Come scrive The Guardian, l’Unione europea sta già finanziando la ricerca sull’impatto delle microplastiche su feti e bambini e sul sistema immunitario. Studi recenti hanno dimostrato che le microplastiche possono attaccarsi alle membrane esterne dei globuli rossi e possono limitare la loro capacità di trasportare ossigeno. Inoltre, le particelle sono state trovate anche nella placenta delle donne incinta e nei ratti gravidi passano rapidamente attraverso i polmoni nel cuore, nel cervello e in altri organi dei feti.
Quante ne “mangiamo”
Le microplastiche sono state ritrovate nelle acque marine, dalle aree costiere popolate alle zone più remote come i mari antartici, artici fino alle maggiori profondità marine, scrive l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Friuli Venezia Giulia. E anche in campioni di acque dolci, aria, cibo e bevande.

Martin Armstrong, data journalist per Statista.com, riassume in questa infografica come assumiamo le microplastiche. Gli scienziati stimano che in media ogni anno una persona “consuma”, ossia mangia, beve e respira, tra 74.000 e 121.000 particelle di microplastica. I valori, probabilmente sottostimati, sono stati ricavati dallo studio Human Consumption of Microplastics pubblicato su Environmental Science & Technology. L’indagine ha presentato un’analisi di 26 studi da tutto il mondo e ha calcolato la quantità media di microplastiche che si trovano nei comuni prodotti di consumo.
La più grande fonte conosciuta di microplastica che entra nel nostro corpo è l’acqua in bottiglia. Sulla base di 4 studi distinti, il numero medio di particelle trovate per litro è di 94. La birra ha il secondo numero più alto, a 32, ma è quella al terzo posto che può causare più preoccupazione. L’aria che inaliamo, sulla base di due studi condotti in Francia e Turchia, contiene una media di 9,80 particelle per m³. Si consideri che una persona di 31-51 anni inala una media di 16 m³ di aria al giorno secondo l’Exposure Factors Handbook dell’Environmental Protection Agency americana. Seguono acqua del rubinetto (4,24), pesce e frutti di mare (1,48), zucchero (0,44), sale (0,11), miele (0,10).
Non è chiaro come accadano queste contaminazioni. Per quanto riguarda la birra, per esempio, malfunzionamento dei macchinari, bottiglie sporche, orzo e luppolo contaminati sono solo alcune delle ipotesi. Per il miele c’è chi sospetta che possa dipendere dalle microplastiche presenti anche nell’acqua piovana o nei fiori. Sebbene le quantità rinvenute non sarebbero considerate pericolose per la salute umana, si attendono altri studi.
Che cosa mangiano i pesci
Dalle cozze agli sgombri, alle acciughe: dalle analisi di oltre 300 organismi rappresentativi di diverse specie di pesci e invertebrati, raccolti nel Mar Tirreno centrale durante il tour “May day SOS Plastica” di Greenpeace nella primavera 2019 in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM) e l’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino (IAS) del Consiglio nazionale delle ricerche di Genova, è emerso che il 35% di questi aveva ingerito fibre tessili e microplastiche.
“Si registrano elevate concentrazioni nei pesci, ma poiché le microplastiche sono presenti per lo più nello stomaco e nell’intestino, che di solito vengono eliminati, i consumatori non ne risultano esposti. Tuttavia, nel caso dei crostacei e dei molluschi bivalvi, come le ostriche e le cozze, il tratto digestivo viene consumato, per cui si ha una certa esposizione”, ha detto Peter Hollman. Lo studioso, precedentemente membro del gruppo di lavoro che ha assistito il gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell’EFSA nella redazione della dichiarazione sulla presenza di particelle di microplastica e nanoplastica negli alimenti, è ricercatore capo presso l’istituto di ricerca RIKILT nonché professore associato di nutrizione e salute, funzioni che ricopre presso l’Università di Wageningen nei Paesi Bassi.
I possibili rischi per la salute: servono altri studi
Cosa significhi esattamente tutto questo per la nostra salute e il nostro benessere a lungo termine non è del tutto chiaro. C’è ancora molto che non sappiamo sugli effetti chimici e fisici dei piccoli materiali plastici annidati tra le nostre cellule. Gli studi sugli animali accennano ad alcuni effetti seriamente preoccupanti, ma interpretare i loro risultati in un contesto di salute umana è tutt’altro che semplice. Tuttavia, il problema è in crescita, con i rifiuti di plastica che entrano nei nostri oceani destinati a raddoppiare entro il 2040.
Le microplastiche sono nocive per i consumatori? “È troppo presto per dirlo”, ha precisato Hollman. “Una potenziale preoccupazione riguarda le elevate concentrazioni di agenti inquinanti quali i policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che possono accumularsi nelle microplastiche. Potrebbero anche esserci residui di composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A (BPA). Alcuni studi indicano che le microplastiche, dopo il consumo negli alimenti, possono trasferirsi nei tessuti. È quindi importante stimare l’assunzione media. Sappiamo che le nanoparticelle di sintesi (da diversi tipi di nanomateriali) possono penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze per la salute. Sono indispensabili ulteriori ricerche e maggiori dati per fare più chiarezza”.
“Con i dati limitati a disposizione l’EFSA ha stimato che una porzione di cozze (225g) potrebbe contenere sette microgrammi di microplastica. Se anche tale quantità di materiale contenesse le massime concentrazioni mai misurate di PCB o di BPA, per esempio, contribuirebbe in misura modesta all’esposizione generale a queste sostanze: aumenterebbe l’esposizione ai PCB in misura inferiore allo 0,01% o l’esposizione al BPA di meno del 2%. Si tratta comunque dello scenario più pessimistico”.
Un mare di plastica
La plastica rappresenta più dell’80% dei rifiuti ritrovati in mare aperto e sulle spiagge: è quanto è emerso dalla decima edizione del progetto “Indicit”: il suo obiettivo è di mettere a punto una metodologia per rendere operativo l’indicatore sulla quantità e quantità dei rifiuti marini ingeriti dalla tartaruga marina Caretta caretta e sperimentare se l’ingestione delle microplastiche nei pesci possa rappresentare un altro buon indicatore per valutare l’impatto dei rifiuti nell’ambiente marino.
Credito foto in apertura: Naja Bertolt Jensen/Unsplash.
Avvertenza
Nessun contenuto di questo sito è da usare come sostituto del consiglio del proprio medico di base o di altro medico qualificato.