Si dice che siamo quello che mangiamo perché il cibo influenza il corpo. Non solo però. Influenza l’umore. L’abbiamo sperimentato tutti l’impatto positivo di quell’ondata di endorfine, dette anche ormoni della felicità, che raggiunge il cervello al termine di un buon pasto. “Sono molecole prodotte dal lobo anteriore della ghiandola ipofisi che si trova nella scatola cranica, ma anche dal microbiota, quella popolazione di trilioni di batteri, virus, funghi e archei che vive nel nostro intestino”, spiega Silvana Hrelia, professore ordinario di Biochimica all’Università degli studi di Bologna. “Si legano a specifici recettori degli oppiacei e in questo modo svolgono la loro azione di neurotrasmettitori nel controllo del dolore, nella gestione dell’umore e nella modulazione della sensazione di benessere”.
Ma c’è di più. Lo “zoo” intestinale, la cui composizione e modulazione dipenderebbe per il 50% circa dalla dieta, sembra avere effetti sul cervello fino a plasmare il modo di pensare. Se lo chiedono gli autori di una revisione della letteratura su microbiota intestinale e depressione, apparsa su Cureus Journal of Medical Science, che scrivono: “Esiste una forte associazione tra la funzione dei microbi del tratto gastrointestinale e il benessere mentale. Sebbene promettenti, gli studi sul microbiota intestinale hanno ancora molta strada da fare”.
Indice
- Che cos’è lo psicobiota
- Il ruolo degli psicobiotici
- Il trapianto di microbiota
- Che cosa fa il microbiota
- E’ diverso in ognuno di noi
- Come si trasmette
- Il segreto per invecchiare bene
- Cuore e microbiota
- Mini dizionario
- Prendersi cura del microbiota con la dieta
- Microbiota e malattie neurologiche
- Proteggere il cervello
- Tre curiosità
- Il carrello della spesa
- Doccia, igiene e microbiota: consigli pratici
- Che cos’è il micobioma tumorale
- Lo sapevi che…
Che cos’è lo psicobiota
Per ora, infatti, la maggior parte dei dati di possibili associazioni tra microbiota e varie patologie arriva da modelli animali e la traslazione degli effetti nell’uomo non è così immediata anche perché sono coinvolte tante altre variabili come età, genere, peso, stile di vita, dieta, etnia. Quindi, fermo restando la complessa genesi multifattoriale dei disturbi legati alla mente e alla psiche, si sta però cominciando a parlare di psicobiota.
“Con questo termine si intendono quei microrganismi dell’intestino che sembrano fare da intermediari della comunicazione tra microbiota e cervello, regolando le funzioni del cervello stesso e contribuendo al nostro benessere mentale”, precisa Luca Masucci, professore aggregato Istituto di Microbiologia, responsabile unità operativa Diagnostica molecolare e manipolazione del microbiota, Fondazione Policlinico Universitario “A.Gemelli” IRCCS di Roma. “Il campo di ricerca della psicobiotica si concentra, infatti, su come l’attività dei batteri intestinali potrebbe collegarsi ai disturbi neuropsichiatrici, dall’ansia alla depressione o al morbo di Alzheimer”.
Il ruolo degli psicobiotici
Quello che sta emergendo dalle crescenti evidenze scientifiche è che un microbiota diversificato sembra migliorare la nostra salute. Per esempio, alcuni studiosi hanno messo in luce come le persone che soffrono di depressione abbiano in media una popolazione batterica meno diversificata rispetto a quella dei soggetti sani. “Il microbiota può influenzare le nostre funzioni mentali attraverso quattro potenziali meccanismi”, precisa l’esperto.
- “Attraverso il nervo vago: è il “canale comunicativo” nel quale cervello e intestino si scambiano informazioni come il senso di sazietà. I microbi intestinali sembrano svolgere un ruolo chiave nell’invio e nella ricezione di segnali comunicativi attraverso la produzione di specifiche molecole. Un microbiota alterato può quindi trasmettere “suggerimenti” al cervello che si rivelano dannosi per la salute.
- Attraverso la produzione da parte dei batteri intestinali di sostanze che controllano l’infiammazione la quale, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere all’origine anche di alcune forme di depressione e di malattie neurologiche.
- Attraverso la regolazione dello stress grazie al microbiota capace di agire al ribasso sui livelli di cortisolo, più noto come ormone dello stress.
- Attraverso il coinvolgimento di microbi intestinali nella modulazione di neurotrasmettitori come la serotonina che è la stessa sostanza che viene aumentata da alcuni antidepressivi.
Inoltre, gli acidi grassi a catena corta che i microrganismi producono dalla fermentazione nell’intestino delle fibre che mangiamo sembrano essere simili ad alcuni farmaci che stabilizzano l’umore. Ecco perché oggi si parla di psicobiotici”.
E’ un termine coniato dal neurofarmacologo John Cryan e dallo psichiatra Ted Dinan, entrambi dell’University College Cork per indicare possibili cure a base di microbi che potrebbero influenzare i marcatori psicofisiologici dell’ansia e della depressione.
Il trapianto di microbiota
Suona strano pensare di cercare nuovi medicinali per disturbi neuropsichiatrici in un luogo apparentemente poco probabile: campioni di feci umane. “Eppure sono già in atto terapie che prevedono, per esempio, il trapianto di microbiota intestinale per combattere l’infezione batterica da Clostridioides difficile all’origine di diarree anche gravi. E’ molto efficace dato che il tasso di guarigione è superiore al 90%. Non solo. Si sta cominciando a vedere il ruolo svolto da questo tipo di trattamento nell’invertire la neuroinfiammazione e il comportamento depressivo e nel migliorare l’ansia”, prosegue il professor Masucci, coautore di diversi studi sul trapianto di microbiota intestinale.
“Nel mondo sono 264 milioni le persone affette da disturbo depressivo maggiore ed è intrigante la sfida terapeutica di migliorare alcune condizioni psichiatriche attraverso la modulazione delle popolazioni microbiche intestinali”.
Che cosa fa il microbiota
La consapevolezza che i microbi dentro di noi eguagliano, se non addirittura superano, le cellule del nostro corpo ha stravolto la visione di noi stessi. “Infatti, se il corpo produce numerosi ormoni e sostanze chimiche utili per farci stare bene, il microbiota ne può potenzialmente sintetizzare migliaia rendendo l’intestino strategico per svolgere molte mansioni”, aggiunge l’esperto. “E’ noto da tempo che i microbi intestinali favoriscono la digestione e la scomposizione del cibo convertendo gli alimenti che assumiamo in composti che hanno effetti benefici. Producono, infatti, vitamine e sintetizzano sostanze simili agli ormoni.
Ma il microbiota è importante anche nel sostenere la funzione immunitaria, sino a ridurre i rischi del sistema immunitario di reagire in modo inefficiente o talmente eccessivo da provocare malattie autoimmuni. Inoltre, sembra assodato che il microbiota sia un cofattore coinvolto nel combattere l’insulino resistenza e il diabete, l’obesità e le malattie metaboliche, tutte condizioni che hanno in comune la presenza di infiammazione cronica.
Non significa che altri aspetti, come la qualità del sonno e del cibo, lo stile di vita, l’esercizio fisico siano irrilevanti in chiave di prevenzione, non escludendo anche la terapia. I dati finora raccolti suggeriscono, però, come potenzialmente il microbiota possa essere un altro importante fattore modificabile”.
E’ diverso in ognuno di noi
Uno degli aspetti più curiosi è che il microbiota è come l’impronta digitale: è unico in ognuno di noi. “I gemelli condividono in media appena il 34% degli stessi microbi intestinali, percentuale che scende a 30 tra i soggetti senza parentela e che si abbassa sotto l’1% se consideriamo le varianti di ogni specie.
In uno studio si è visto che i gemelli, che conducono lo stesso stile di vita, dopo aver mangiato il medesimo pasto manifestano una risposta glicemica e insulinica differente a partire da dieci minuti fino a diverse ore dopo”, sottolinea Nicola Segata, professore ordinario di Genetica e principal investigator all’università di Trento e all’Istituto europeo di oncologia di Milano.
“Non si spiega con la genetica, motivo per cui si è ipotizzato un coinvolgimento del microbiota per capire le differenti reazioni a un medesimo stimolo nutrizionale a parità di condizioni. Anche per questo per ora non c’è consenso su che cosa significhi microbiota sano. Alcuni microbi sembrano essere favorevoli in alcune persone, ma dannosi in altre e può essere dovuto al comportamento che assumono nel contesto complesso e dinamico del microbiota intestinale composto da migliaia di specie differenti. Si parla, infatti, di ecologia del microbiota per sottolineare l’importanza di studiare come i microrganismi interagiscono tra loro, con l’ambiente e con gli ospiti”.
Come si trasmette
Non esiste solo il microbiota intestinale. C’è per esempio quello della bocca, della pelle, delle vie respiratorie e del tratto urogenitale. I primi microbi li riceviamo da piccoli dalle nostre mamme, attraverso il parto, il latte materno e il contatto con la pelle. “Il bagaglio di batteri del microbiota sano ereditati dalla madre è riconoscibile anche fino agli 80 anni di età”, precisa Segata. Il quale è coautore di una ricerca uscita su Nature da cui emerge che i batteri nei microbiota si trasmettono tra generazioni (trasmissione verticale) e tra persone che vivono a stretto contatto, come partner, figli, o amici (trasmissione orizzontale).
“Si tratta dello studio più imponente compiuto finora sulla trasmissione del microbiota. Abbiamo analizzato più di 9mila campioni di feci e di saliva di persone in 20 paesi di tutti i continenti. Nell’età adulta, le fonti dei nostri microbiota sono soprattutto le persone con le quali viviamo a stretto contatto. La durata di interazioni come per esempio la convivenza di studenti o partner sono, a grandi linee, proporzionali con la quantità di batteri scambiati. In molti casi, però, i batteri possono trasferirsi tra individui che hanno interazioni superficiali e occasionali. Inoltre, si è visto che il microbiota orale si trasmette in modo diverso da quello intestinale. I batteri presenti nella saliva si trasmettono infatti ancora più frequentemente, soprattutto in modo orizzontale: lì il passaggio da parte della madre è meno rilevante. Al contrario, quanto più tempo le persone passano insieme, più batteri esse condividono”.
Il segreto per invecchiare bene
Anche il segreto per invecchiare bene potrebbe essere in parte collegato al nostro intestino, come si legge su Nature Metabolism. Il microbiota subisce rapidi cambiamenti nei primi tre anni di vita, poi resta abbastanza stabile fino a ricominciare a cambiare la sua composizione a partire dalla mezza età.
“I ricercatori hanno sequenziato il microbiota di oltre 9mila adulti di età compresa tra i 18 e i 101 anni. Chi riesce a mantenere la maggior biodiversità microbica sta meglio in salute e potenzialmente vive più a lungo: ha più vitamina D, meno colesterolo “cattivo” LDL e trigliceridi, assume meno farmaci e ha una migliore capacità di muoversi e camminare”, spiega Claudio Molinari, professore di Fisiologia della scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale e tra i fondatori del progetto di eccellenza Aging Project.
“La maggiore diversità del microbiota ritarda la crescita nell’anziano di ceppi “ostili” che producono xenobiotici. Sono sostanze potenzialmente tossiche che di norma sono neutralizzate dal fegato. Col passare degli anni, però, si depositano nel tessuto adiposo e ciò può contribuire al declino associato all’età. Per questo gli autori ipotizzano la possibilità, in futuro, di agire sui metaboliti microbici e sulle dinamiche dell’ecosistema intestinale durante l’invecchiamento”.
Cuore e microbiota
Una ricerca presentata all’European Stroke Organisation Conference 2022 ha identificato ceppi di microbiota intestinale associati a ictus più gravi e a un peggiore recupero. “Sulla base della composizione del microbiota riuscire a definire il potenziale rischio in un paziente cardiopatico o riuscire ad agire in un contesto di prevenzione primaria è una delle possibili strade future. Ci vuole ancora tempo perché si arrivi a una possibile applicazione clinica”, dice Roberto Pedretti, direttore del dipartimento Cardiovascolare all’IRCSS MultiMedica.
“C’è, però, un’altra strada attuabile prima: quella dei biomarcatori. L’attenzione degli studiosi è su quello che si chiama TMAO (dall’acronimo inglese). E’ una sostanza prodotta dai batteri del microbiota e nei pazienti che hanno avuto uno scompenso cardiaco oppure un infarto i suoi livelli correlano con la prognosi, indipendentemente dalla gravità della cardiopatia. Questo è un potenziale approccio per prevedere il rischio nei cardiopatici. Infine si sta studiando l’ipotesi di ricorrere alla nanomedicina: usare nanoparticelle che possono rilasciare nell’ospite microrganismi specifici che hanno un profilo metabolico più favorevole”.
Mini dizionario
- Probiotici: batteri “buoni” che possono essere aggiunti o essere naturalmente presenti in alimenti come lo yogurt, il kefir e i cibi fermentati.
- Prebiotici: le fibre che mangiamo e di cui si nutrono i batteri “buoni” stimolando la loro replicazione.
- Simbiotici: l’unione di prebiotici e probiotici.
- Postbiotici: gli “scarti” che i probiotici espellono dopo aver mangiato e che sembrano possedere effetti positivi contro infiammazioni e malattie croniche.
- Microbioma: è il patrimonio genetico dei microrganismi.
Prendersi cura del microbiota con la dieta
“Il microbiota è un organo vitale del corpo e bisogna prendersene cura. Se lo fate sarà lui a prendersi cura di voi”. Parole di Tim Spector, epidemiologo del King’s College di Londra e uno dei maggiori studiosi dell’argomento. Occhio quindi a cosa si mette nel carrello della spesa perché, come conferma uno studio pubblicato su Nature Medicine, la composizione del microbiota è in gran parte modellata da ciò che mangiamo.
“Abbiamo analizzato la dieta, la salute cardiometabolica e il microbiota di oltre mille individui e abbiamo notato che una dieta con pietanze poco elaborate a base di cibi integrali, verdura, frutta, frutta secca, uova, pesce favorisce la crescita di microbi “amici” che promuovono la salute”, spiega il coautore della ricerca Nicola Segata.
“Al contrario, il consumo eccessivo di cibi molto processati, ricchi di zuccheri, sale e altri additivi, di bevande zuccherate, di cereali raffinati e di carni lavorate ha favorito l’aumento di microbi “nemici” perché collegati a una peggiore salute cardiovascolare e metabolica”.
Dieta mediterranea
Gli scienziati concordano nel suggerire la dieta mediterranea come la più indicata per la salute dell’intestino (e non solo), il nostro principale organo immunitario. “Si intende quella povera dei nostri nonni: pochi cibi di origine animale, spazio invece a legumi, cereali integrali come farro e orzo, alto consumo di verdure e un po’ di frutta di stagione di tutti i colori perché ogni vegetale ha differenti nutraceutici.
Sono molecole che raggiungono il nostro Dna e lo inducono a esprimere geni protettivi in grado di favorire la sintesi di enzimi antiossidanti, antinfiammatori e detossificanti, rafforzando l’azione di vitamine e minerali”, raccomanda Silvana Hrelia, professore ordinario di Biochimica all’Università degli studi di Bologna.
“Perché questo accada è fondamentale che la dieta sia varia. Per esempio, quando mangiamo legumi, frutta secca, formaggi e latticini, uova, carne e pesce assumiamo triptofano e tirosina. Sono aminoacidi necessari che producono, rispettivamente, dopamina, un neurotrasmettitore che controlla il senso di piacere e ricompensa, e serotonina, un altro neurotrasmettitore che aiuta a regolare l’umore. La conversione di questi aminoacidi richiede, oltre al lavoro del microbiota, la presenza di micronutrienti, ossia vitamine e minerali: il triptofano ha bisogno di vitamina B6, ferro, fosforo e calcio per produrre serotonina”.
Microbiota e malattie neurologiche
“Oltre a essere la più indicata per proteggere umore e intestino, la dieta mediterranea ci difende anche da ipertensione, sindrome metabolica, diabete, insomma dalle malattie che predispongono al danno cerebrale riducendo quel periodo tra aspettativa di vita in buona salute e aspettativa di vita totale”, sottolinea l’esperta.
“Le principali forme di decadimento cerebrale sono la demenza senile, di origine vascolare, Alzheimer e Parkinson la cui eziologia è ancora sconosciuta e per questo la ricerca, che non trova una cura, sta puntando sulla prevenzione come una moderata attività motoria quotidiana. L’invecchiamento cerebrale dipende per l’80% dallo stress ossidativo favorito dai radicali liberi che deteriorano la struttura del neurone e per il 20% da cause genetiche o traumatiche.
Un movimento come camminare, nuotare e salire le scale produce piccole quantità di radicali liberi che hanno un ruolo di biosegnalazione e di attivazione delle difese antiossidanti endogene. I radicali diventano “cattivi” solo se sono in eccesso. Ora però i ricercatori stanno prendendo in considerazione il possibile impatto della disbiosi, lo squilibrio del microbiota, su diversi disturbi neurologici tra cui l’Alzheimer o la sclerosi multipla. Per esempio, si sta notando come nei pazienti affetti da Parkinson la disbiosi sia comune e il mix di specie batteriche presenti nell’intestino sia diverso rispetto alle persone senza malattia”.
Proteggere il cervello
Il cervello dell’adulto rappresenta il 2% della massa corporea e utilizza il 20% dell’energia metabolica. E’ l’organo più esigente dal punto di vista energetico, tanto che si potrebbe ipotizzare, come si fa con i nutrienti, di formulare dosi giornaliere raccomandate (RDA dall’inglese Recommended Daily Allowance) per soddisfare le sue esigenze nutrizionali.“Bisogna chiarire come e in quale misura i componenti neuroprotettivi che arrivano dalla dieta siano biodisponibili e riescono ad attraversare la barriera ematoencefalica in concentrazioni efficaci. A quel punto si potrà pensare a RDA specifiche per il cervello”, conclude Hrelia.
Tre curiosità
- I carboidrati contenuti nel cacao fondente aumentano la serotonina, il neurotrasmettitore che induce le sensazioni di piacere e di benessere e regola il sonno. Il cacao contiene una sostanza, detta anandamide, paragonabile al tetraidrocannabinolo, uno dei principi attivi della marijuana, ma ovviamente priva dell’azione psicotropa.
- L’olio extravergine di oliva ha una molecola (oleocantale) che è un antinfiammatorio naturale: il consiglio è di consumarne 3 cucchiai al giorno. Sostanze simili ad azione antiinfiammatoria ci sono nel tegumento esterno dei cereali integrali.
- Nelle ultime 3-4 generazioni abbiamo perso alcuni microrganismi del microbiota che sembrano importanti per la salute, non sappiamo con certezza se la causa sia la dieta, lo stile di vita, la pulizia delle case, l’uso eccessivo di antibiotici.
Il carrello della spesa
I consigli della professoressa Silvana Hrelia
Applicare la regola delle 4 “K”
Kefir, Kimchi (cavolo fermentato coreano), Kombucha (bevanda che si ottiene dalla fermentazione del tè) e Kraut (crauti) non pastorizzati. Costituiscono il gruppo dei cibi fermentati, di cui fa parte anche lo yogurt, che sono “concime” per i nostri batteri. E’ vero che i microrganismi che assumiamo con la dieta non raggiungono tutti l’intestino, solo una percentuale passa indenne gli acidi dello stomaco ed è pertanto gastroresistente. Per questo mangiare le fibre è importante, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività di uno o più batteri “buoni” già presenti nel tratto intestinale, come i bifidobatteri, agendo come prebiotici.
Consumare più fibre
Si stima che il microbiota ne abbia bisogno di 30 g al giorno. Dalla loro fermentazione i microrganismi danno origine a sostanze coinvolte nell’immunità, nel mantenimento dell’intestino e del colon in salute, nella riduzione dell’infiammazione dell’organismo e nel controllo del metabolismo del glucosio. Iniziare poco per volta se non si è abituati.
Mangiare arcobaleno
Scegliere frutta e verdura di tutti i colori perché ognuna ha proprietà differenti: tre porzioni di verdura al giorno da 250 g (80 g in caso di verdura a foglia come l’insalata) e due porzioni da 150 g al giorno di frutta, entrambe di stagione. Cercare di mangiare il maggior numero di vegetali diversi a settimana.
Aumentare gli alimenti ricchi di polifenoli
Sono le armi di difesa delle piante e svolgono lo stesso ruolo dentro di noi. Quindi spazio a frutti di bosco, carote viola, agrumi, ciliegie, aglio, cipolla, radicchio, cavoli, broccoli e pomodoro, tè verde, olio extravergine di oliva, erbe e spezie, cioccolato fondente.
Limitare gli alimenti pro infiammatori
Cibi processati e trasformati, come prodotti già pronti, insaccati e salumi, cereali raffinati, grassi animali. Ridurre anche zucchero e sale.
Frutta secca e semi
Mangiarne se possibile 20-30 g 2 o 3 volte alla settimana. Sono fonti di minerali, vitamine, tra cui la vitamina E, e di acidi grassi essenziali ad azione cardioprotettiva, antinfiammatoria, antiossidante e chemiopreventiva.
Omega 3
Consumarne circa 1 g al giorno di cui 250-200 mg sotto forma di EPA+DHA, i due acidi grassi omega 3 che troviamo nel pesce, soprattutto in quello azzurro. Il rimanente sotto forma di acido alfa-linolenico presente nella frutta secca, negli oli e nei semi oleosi. Gli Omega 3 concorrono al corretto funzionamento del sistema cardiovascolare, allo sviluppo del cervello e della retina, oltre a svolgere una potente azione antinfiammatoria.
Doccia, igiene e microbiota: consigli pratici
Anche un’azione semplice come la doccia può influenzare il microbiota, in questo caso cutaneo. “Non significa che non ci si debba lavare, l’aspetto igienico è fondamentale”, raccomanda Carmen Sommese, direttore sanitario aziendale Gruppo MultiMedica e specialista in Igiene e Medicina Preventiva. “Quindi cosa possono fare i genitori per difendere il microbiota dei figli? Innanzitutto adottare e insegnare quegli accorgimenti che preservano il film idrolipidico cutaneo che ci avvolge come una “pellicola” e protegge, così, anche il microbiota.
- La doccia può essere fatta tutti i giorni, ma l’importante è non stare a contatto con l’acqua per più di 5 minuti e fare in modo che la sua temperatura sia uguale a quella del corpo, tra i 36° e i 37 °C.
- Scegliere un detergente che rispecchi il pH acido della pelle che è tra 4,7 e 5,7.
- Un ulteriore rimedio è spalmare un po’ di olio, come quello di mandorla, prima di bagnarsi.
Rischio fobie
Inoltre, esporre bambini e ragazzi al contatto con gli animali, con la terra, con le piante, con i fiori perché il microbiota viene rafforzato dagli stimoli che l’ambiente esterno ci offre, migliorando anche la sua biodiversità. Senza sfociare né nella germofobia, la paura che porta a uccidere tutti i batteri, né nel suo rovescio della medaglia, la microbiomania che incoraggia a compiere azioni “estreme” pensando così di rafforzare maggiormente il sistema immunitario. Si tratta, in realtà, di atteggiamenti che rispecchiano ansie e disturbi comportamentali dell’adulto.
I genitori dovrebbero educare a far lavare le mani quando serve davvero: quando si prendono oggetti di uso comune, è il caso dei soldi; ogni volta che si va in bagno o si porta la spazzatura. In questo caso il lavaggio è di 40-60 secondi. Infine, quando nostro figlio non sta bene, usare gli antibiotici se li prescrive il medico: riducono il numero dei microrganismi “buoni” e, se se ne abusa, aumenta il processo di resistenza dei batteri all’azione di questi medicinali che più rapidamente perdono di efficacia”.
Che cos’è il micobioma tumorale
Esiste un microbiota tumorale, ben diverso da quello che vive nel nostro intestino o in altre parti del corpo. Infatti, per Lian Narunsky Haziza, biologa oncologica presso il Weizmann Institute of Science in Israele, intervistata da The New York Times, il tumore è un ecosistema in cui le sue cellule non sono sole, ma convivono con milioni di microbi e funghi. A questa conclusione è giunta pubblicando, assieme ad altri colleghi, una ricerca sulla rivista Cell.
“Dall’analisi della sequenza del Dna fatta in oltre 17mila campioni di tessuto, sangue e plasma è emerso, grazie anche a un sistema di intelligenza artificiale per l’elaborazione dei dati, come all’interno dei tumori ci sia una composizione di cellule batteriche e funginee che si caratterizzano in maniera diversa in 35 specie tumorali”, spiega Filippo De Braud, professore Ordinario di Oncologia Medica Università di Milano e Direttore Dipartimento Oncologia ed Emato Oncologia Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori Milano.
“La presenza di funghi è quella che sembra giocare un ruolo maggiore, come conferma un altro studio su Cell in cui i ricercatori hanno visto che sono diverse la presenza e la composizione di determinati miceti in tessuti tumorali e tessuti sani tanto da parlare di micobioma. E’ possibile che i microrganismi che vivono all’interno del microambiente tumorale possano condizionare origine e prognosi della malattia perché potrebbero alterare l’equilibrio con il nostro sistema di difesa fisiologico, quello immunitario”.
Nuove cure
Altre indagini hanno suggerito che alcuni microbi possono rendere i tumori più aggressivi o resistenti ai trattamenti o potrebbero nasconderli al sistema immunitario. Se la ricerca lo confermerà potrebbe in futuro essere possibile affiancare alle attuali cure la chance di combattere il cancro attaccando il microbiota del tumore insieme al tumore stesso. “Senza dubbio si è aperta una strada che consente di smettere di trattare i tumori come se fossero sterili e che sta offrendo informazioni preziose: nessuno, infatti, fino a oggi sapeva se i milioni di cellule che compongono i tumori fornissero un altro habitat in cui i microbi potessero vivere. La ricerca in quest’ottica è solo all’inizio.
ll futuro
Gli studiosi sognano di riuscire a trovare segni precoci di tumori misurando il Dna microbico rilasciato nel sangue da funghi e batteri, teoricamente possibile. C’è però ancora molto da capire: come distinguere, per esempio, se un’infezione è provocata da una candida o dalla patologia oncologica che si caratterizza a sua volta dalla presenza di un’infiammazione cronica? Quello che, invece, già si sta provando a fare nei pazienti oncologici è manipolare la capacità di risposta immunitaria attraverso, per esempio, la restrizione calorica e il cambiamento dell’equilibrio del microbiota intestinale”.
Lo sapevi che…
- 1,5-2 metri quadrati circa è la superficie che in un adulto occupa la pelle, uno dei più grandi organi del corpo.
- 2 kg circa è il peso ipotizzato del microbiota intestinale, più del cervello umano che pesa in media 1,4 kg
Dal mio articolo su Corriere della Sera/Salute.
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Credito foto in apertura: julien-tromeur/Unsplush.
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