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Meduse: piatto orientale tradizionale che arriverà anche sulle nostre tavole. Le prime ricette degli chef stellati

Marinate, a carpaccio, fritte o in zuppa. Tra qualche anno le meduse potrebbero arrivare sulle nostre tavole. «Parlare di qualche anno è verosimile», spiega Antonella Leone, ricercatore senior del Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di scienze delle produzioni alimentari (CNR-Ispa) di Lecce, che da anni lavora al progetto “GoJelly”. «La tempistica sarà dettata dalla raccolta di sufficienti dati scientifici che garantiscano la sicurezza alimentare di queste biomasse. A quel punto un soggetto interessato, per esempio un’associazione di pescatori o di chef o un ente pubblico, potrà presentare domanda di autorizzazione o di notifica alla Commissione Europea e attendere l’opinione dell’Autorità europea sulla sicurezza alimentare (EFSA). Che potrebbe essere più veloce di quanto si pensi. È stato, infatti, abbreviato l’iter per l’immissione in commercio di cibi che sono nuovi in Europa ma che hanno una storia (almeno 25 anni) di alimento sicuro in Paesi terzi, come nel caso delle meduse che da 2000 anni sono un piatto tradizionale in Oriente. La legge sulla sicurezza alimentare europea è molto rigorosa, per questo servirà un dossier per ogni specie di medusa edule».

Poche calorie, contengono sali minerali come magnesio e potassio

In Estremo oriente si producono annualmente quasi 1 milione di tonnellate di meduse, tra pesca e acquacoltura, per un valore di circa 100 milioni di euro. Il 95-97% di una medusa è acqua. L’apporto calorico è basso perché quel che resta contiene sali minerali, come magnesio e potassio, proteine con proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, e grassi Omega 3 e 6 presenti solo nelle microalghe simbionti ospitate da alcune meduse. «Si possono mangiare gli esemplari che sono poco o per nulla urticanti. A seconda della specie, dai nostri studi su alcune meduse del Mediterraneo e del Mare del Nord si è visto che la cottura a 100 gradi determina l’eliminazione della tossicità del veleno. A volte basta il lavaggio in acqua dolce», prosegue l’esperta che ha curato, coinvolgendo un gruppo di chef anche stellati, il libro “European Jellyfish Cookbook. Prime ricette a base di meduse in stile occidentale” (Cnr edizioni). «Uno dei problemi maggiori, che riguarda anche le meduse già usate in Oriente come alimento, è il loro trattamento, dopo la pesca, con sale e allume. Quest’ultimo è neurotossico. Noi abbiamo ideato e brevettato un processo alternativo a quello asiatico che non fa uso di allume, ma permette lo stesso di trattare velocemente la biomassa in modo da poterla conservare e ridurre la carica microbica e l’eccesso di cloruro di sodio, dannosi per la salute. Il metodo di lavorazione sarebbe già disponibile nel caso una proposta per la commercializzazione di questi nuovi alimenti venga accettata dall’Europa».

Nel 2050 il mare rischia di restare “a secco”

Si consideri che dal mare, sempre meno pescoso, si ricavano proteine per oltre tre miliardi di persone e che la popolazione mondiale cresce a un ritmo esponenziale, quasi 10 miliardi nel 2050. «Se non si trovano alternative, nel 2050 ci si aspetta l’azzeramento degli stock ittici attualmente commercializzati. Significa che non ci sarà nulla per nessuno o ci sarà molto poco. Le meduse si caratterizzano per la loro incessante riproduzione. Dal 2006 a oggi, come ha registrato l’Università del Salento, la loro diffusione e abbondanza  è aumentata nei mari costieri italiani, complice anche il riscaldamento globale. L’idea di differenziare la pesca e cercare nuovi cibi sostenibili è quindi una strada per ridurre il sovrasfruttamento e dare tempo e modo alle specie oggi più richieste di riprodursi», conclude la ricercatrice. Che precisa: «Ho mangiato la medusa cucinata, la consistenza è corposa e il sapore ricorda quello delle ostriche».

Dal mio articolo su Corriere.it

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