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Il potere di respiro: come una corretta respirazione può migliorare umore, stress e salute

Il respiro è il primo atto che compiamo quando nasciamo e l’ultimo quando ce ne andiamo. Vivere fino a 80 anni significa eseguire oltre mezzo miliardo di respiri considerando che ne facciamo circa 20mila al giorno. Respirare è un comportamento così semplice e automatico che si dà per scontato. “Eppure la maggior parte di noi respira male, utilizza meno del 50% della capacità respiratoria”, esordisce Mike Maric, medico specialista in Ortognatodonzia e professore all’università di Pavia, autore del libro Il potere antistress del respiro (Vallardi), campione mondiale di apnea, oggi allenatore, tecnico europeo di 4° livello CONI.

“Se riuscissimo a usare anche solo il 10% in più della nostra capacità polmonare potremmo guadagnarne in termini di benessere”. Infatti, imparando a respirare efficacemente si può migliorare la pressione del sangue, il battito cardiaco e influire sull’attività di ampie fasce del cervello e, di conseguenza, su cognizione, emozioni, umore, stress e memoria, come si legge su Annual Review of Neuroscience.

Indice

Neuroni specializzati 

L’apparente semplicità dell’atto respiratorio nasconde un complesso sistema di controllo neurale. “Alla fine degli anni ‘80 i neuroscienziati identificarono un nucleo del tronco encefalico, chiamato Complesso preBötzinger (preBötC), che raggruppa una rete di neuroni pacemaker da cui origina il ritmo della respirazione”, spiega Nicola Montano, professore di Medicina interna all’università Statale di Milano e direttore dell’omonima divisione all’IRCCS ospedale Policlinico del capoluogo lombardo. “I neuroni di questo generatore del ritmo respiratorio sono in contatto sinaptico con altri neuroni del tronco encefalico che regolano la frequenza cardiaca, garantendo quella sincronizzazione vitale tra respiro e battito cardiaco. Questo è il motivo per cui il cervello ci guida a respirare senza che noi ce ne accorgiamo e fa in modo che la respirazione cambi e si coordini con altri comportamenti, come mangiare, parlare, ridere, sospirare, assecondandoli”. 

Perché umore e stress migliorano 

L’interfaccia chiave tra cervello-respiro-benessere è costituita dal sistema nervoso autonomo. “Regola tutte le funzioni viscerali, come la motilità gastroenterica e genitourinaria, la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, ed è legato a zone del cervello come l’amigdala, un attore importante nell’elaborazione delle emozioni.

E’ costituito da due parti: il sistema nervoso simpatico, il nostro acceleratore, che si attiva in qualsiasi situazione di stress sia psichico sia fisico, e quello parasimpatico o vagale, il nostro freno, associato al relax e al recupero. Fa parte del cosiddetto “stress system” ed è collegato a quella parte del sistema nervoso centrale chiamato “sistema libico” che regola la risposta alle emozioni.

L’iperattività simpatica, che si esprime con un’aumentata liberazione di adrenalina e noradrenalina in circolo, è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di patologie croniche come quelle cardiovascolari e metaboliche perché a sua volta attiva fattori di rischio intermedi: infiammazione, stress ossidativo, resistenza insulinica, alterazione della risposta del sistema immunitario, della qualità e della quantità del sonno.

Uno dei modi per ridurre l’attività simpatica, e aumentare quella protettiva parasimpatica, è attraverso la modulazione del ritmo della respirazione: da qui i benefici su umore, stress, emozioni e sui fattori di rischio di malattia che possono così essere ridotti”.  

Yoga e mindfulness 

E’ chiaro, quindi, come la respirazione sia il punto di incontro tra il nostro corpo e la nostra mente, attraverso il respiro possiamo governarli entrambi. “Chi pratica yoga è avvantaggiato”, prosegue Montano. “In letteratura scientifica, le terapie cognitivo-comportamentali, in cui rientrano le tecniche di meditazione sia quelle orientali più antiche come lo yoga, sia quelle occidentali più recenti come la mindfulness, stanno raccogliendo sempre più evidenze della loro capacità antistress, o meglio di riduzione della risposta allo stress.

Utilizzano il respiro lento e profondo come strumento per controllare il sistema nervoso autonomo, abbassando l’attività simpatica a favore di quella parasimpatica. L’effetto finale di questo tipo di respirazione è di ridurre l’eccessiva risposta allo stress cronico che è quello che può far ammalare. Lo stress acuto, infatti, non è quasi mai un problema perché è limitato nel tempo; è come quello che si vive prima di un esame universitario, si esaurisce appena si conclude la prova”.

Un aiuto per depressione e insonnia 

“Yoga ed esercizio fisico, integrati con le terapie prescritte dallo specialista, potenzialmente possono funzionare nei soggetti con depressione maggiore, disturbo che si associa a un’iperattività simpatica. La difficoltà è l’aderenza dei pazienti a questo tipo di percorso”, precisa Montano. “Per quanto riguarda l’insonnia, invece, le linee guida sottolineano come l’unica evidenza per un trattamento senza effetti collaterali è quello delle terapie cognitivo-comportamentali. In questi ultimi anni stanno emergendo tecniche che vanno a stimolare, in modo non invasivo, l’attività vagale elettricamente: fanno parte della cosiddetta bioelectric medicine e in futuro potrebbero aiutare a migliorare la cura dell’insonnia”.

Benefici sul cuore 

Infine, ricercatori hanno dimostrato che se durante un allenamento i pazienti con scompenso cardiaco respirano in modo più lento e profondo c’è un effetto protettivo sul sistema cardiovascolare enorme perché si riduce la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. “Quando ci si allena a rallentare il respiro, espirazioni e inspirazioni diventano sempre più lunghe, dunque la variabilità del ritmo cardiaco aumenta: questo è un indice importante di salute cardiovascolare”, conclude Andrea Zaccaro, psicologo e ricercatore post dottorato all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara e coautore di uno studio su respiro e cervello. “Per questa ragione le pratiche respiratorie possono influenzare la variabilità del ritmo cardiaco che molti studi riportano come un predittore del recupero dopo un infarto o come indice di sopravvivenza. Lavorare sul respiro significa anche migliorare l’enterocezione, la capacità che ha il cervello di percepire il corpo”. 

Esiste un microbiota polmonare

Esiste un microbiota polmonare, proprio come quello, più noto, presente nell’intestino. “Per microbiota si intendono i microrganismi (batteri, virus, funghi e Archea) nei tessuti e negli spazi aerei che compongono i polmoni”, spiega George Cremona, responsabile del servizio di Pneumologia e fisiopatologia respiratoria dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. “Per molto tempo si pensava che quest’organo fosse sterile. Invece, ricorrendo alle più moderne tecniche di sequenziamento genico si è scoperto che i polmoni ospitano numerosi microrganismi, anche se con una densità minore rispetto, per esempio, a quella presente nell’intestino”.

Il microbiota si forma nelle prime settimane di vita e la sua modificazione può interferire con varie patologie polmonari. “Le evidenze che si stanno accumulando, infatti, sembrano suggerire che il microbiota polmonare abbia due ruoli importanti: regolare l’immunità dello strato superficiale delle vie aeree (mucosa); mantenere l’equilibrio fra infiammazione e tolleranza immunologica, vale a dire lo stato in cui il sistema immunitario non reagisce alla presenza di una sostanza o di un tessuto che altrimenti stimolerebbe una risposta infiammatoria”, precisa l’esperto. 

A cosa si punta in futuro

Anche il microbiota va incontro a sostanziali modifiche nel corso di malattie polmonari. “Per esempio, nell’asma e nella broncopatia cronica ostruttiva la presenza di germi patogeni come Haemophilus Influenzae  e Neisserie è accompagnata da una riduzione significativa sia del numero, sia della varietà, sia del tipo di microrganismi che compongono il microbiota. Questo cambiamento potrebbe influire sulla risposta infiammatoria cronica che caratterizza queste patologie. Inoltre si sa che ripetute esacerbazioni infettive sono associate a un declino maggiore della funzione polmonare e a una prognosi peggiore”, aggiunge Cremona. “Il rapporto tra microbiota e sistema immunitario si modifica anche a seconda dell’età, dell’ambiente e dello stile di vita. Gli studi sono concentrati soprattutto sul ruolo dei batteri. Ora si sta indagando anche su virus e funghi e i risultati saranno importanti per comprendere il vero ruolo del microbiota nella genesi e nello sviluppo delle malattie croniche polmonari”.

Consigli pratici

4 consigli pratici di Sergio Harari, direttore della Pneumologia all’Ospedale San Giuseppe IRCCS Multimedica di Milano e professore di Medicina interna all’università Statale di Milano, per proteggere i polmoni

  1. Non fumare. Il fumo ha un impatto negativo sulla salute molto maggiore di qualsiasi esposizione a inquinamento. Fumo e inquinamento moltiplicano vicendevolmente la loro azione negativa”.
  2. Bere molta acqua aiuta a idratare bene le mucose, anche quelle respiratorie, e a fluidificare le secrezioni”.
  3. Prevenzione delle infezioni respiratorie. A tutti consiglio il vaccino per il Sars-Cov 2. Soprattutto alle categorie più a rischio raccomando, oltre a questo, quello antinfluenzale e i vaccini antipneumococco: sono due ed è importante farli entrambi perché si integrano a vicenda”.
  4. Più attenzione ai sintomi respiratori. Per esempio, bronchiti o episodi di tosse ricorrenti o fiato corto possono essere sottostimati e nascondere forme asmatiche che possono essere efficacemente trattate”.

Influenza anche la memoria

“Uno studio del 2016 ha messo in luce, per la prima volta, come il ritmo del respiro produca un’attività elettrica nel cervello che influenza il modo in cui ricordiamo. L’aspetto curioso era che le maggiori differenze in termini di qualità di memoria erano legate al fatto che i soggetti stessero inspirando o espirando attraverso il naso o la bocca”, precisa il ricercatore Zaccaro. “Queste differenze dipenderebbero dalla capacità dell’inspirazione nasale di creare un’attività sincrona con l’ippocampo, sede della memoria e dell’apprendimento”. 

Perché funziona la tecnica del respiro profondo

“Fai un respiro profondo”. Quante volte ci è capitato di dirlo o di ascoltarlo. “Non si tratta solo di un ‘rimedio della nonna’ perché il respiro, l’unico parametro volontariamente modificabile, può essere usato anche come un intervento medico”, dice Montano. “Facciamo l’esempio di un attacco di panico. Il primo segno che lo caratterizza è l’aumento della frequenza respiratoria: il soggetto respira velocemente e superficialmente. Per superare la crisi, si consiglia subito al paziente di respirare in modo più lento e profondo. In questo modo, si riduce l’attivazione del sistema nervoso simpatico e si abbassa il rilascio di catecolamine, neurotrasmettitori eccitatori che hanno un picco di produzione durante l’attacco di panico”.

Respirare con il naso o con la bocca non è uguale

Respirare con il naso o con la bocca non porta gli stessi benefici. “In una ricerca di cui sono stato coautore, pubblicata su Scientific Report, abbiamo stimolato con aria la volta nasale di alcuni soggetti a una frequenza lenta simile a quella delle tecniche meditative di Pranayama, la respirazione yogica”, dice Angelo Gemignani, professore ordinario di Psicobiologia e Psicologia  fisiologica all’Università di Pisa.

“Applicando 128 elettrodi, abbiamo misurato i cambiamenti dell’attività elettrica cerebrale registrando, quando si respirava attraverso il naso, un incremento delle attività delta e theta, tipiche del sonno, legate a un senso di calma e benessere. Insomma, quando le persone respirano lentamente dal naso anche le onde cerebrali rallentano, quindi parti del cervello come l’ippocampo, l’amigdala e tutto il mantello corticale sono indotti a sincronizzarsi con la respirazione. Questo amplifica i possibili benefici che disinnescano il sistema nervoso simpatico che poco “simpatico” è favorendo uno stato ansioso. La scoperta è un ulteriore passo avanti per capire come la respirazione può influire sul nostro benessere”.

La respirazione migliore è quella diaframmatica: è facile, ecco come eseguirla

“La respirazione migliore è quella diaframmatica”, dice Maric. “Il diaframma è un muscolo che viene attivato da tutti a ogni atto respiratorio. L’obiettivo è non estroflettere la pancia nella sua porzione sotto ombelicale, lavorate solo con la porzione sopra ombelicale, quella tra lo sterno e l’ombelico. Ecco come eseguirla:

  • Posizionate la mano destra sotto l’ombelico e inspirate lentamente, cercando di opporre resistenza con la mano all’eventuale sollevarsi dell’addome al di sotto dell’ombelico.
  • Per ciascun atto respiratorio cercate di prendere meno aria di quanto vorreste e provate a rendere ogni respiro (fase inspiratoria) più piccolo del precedente. 
  • Espirate lentamente. L’obiettivo è regolarizzare il respiro, allungando la fase di espirazione e controllando sempre meglio il diaframma. 

Circa 5 minuti al giorno sono sufficienti per sentire benefici immediati”.

La respirazione quadrata che abbassa i battiti e non solo

“Uno degli esercizi più indicati per ridurre lo stress e la frequenza cardiaca e aumentare il livello di concentrazione è praticare la cosiddetta respirazione quadrangolare”, consiglia Maric. “L’esercizio consiste nell’inspirare ed espirare in una precisa sequenza, intervallando pause di apnea. Ecco come eseguirlo: il tempo medio per ognuno dei 4 passaggi è di 4 secondi.

  1. Inspirare lentamente con il naso attraverso una respirazione diaframmatica
  2. Trattenere il fiato, pausa apnea
  3. Espirare attraverso il naso o la bocca
  4. Trattenere il fiato, pausa apnea

Ogni ciclo completo (che include inspirazione, pausa apnea, espirazione, pausa apnea) dovrebbe essere ripetuto per 5 volte per essere efficace. Acquisita la giusta coordinazione e il controllo del ritmo senza alcun senso di affaticamento, nella pausa di apnea o in entrambe ripetere mentalmente una frase di 2-3 parole, una sorta di ancoraggio mentale come “Sto bene” oppure “Sono pronto””.

La dieta antinfiammatoria alleata del respiro

Alcuni ricercatori hanno recentemente studiato le associazioni trasversali tra l’indice infiammatorio dietetico (DII), il volume cerebrale e lo stato di salute dei vasi cerebrali. Il DII è un calcolatore di rischio basato su 45 componenti alimentari che promuovono o che contrastano l’infiammazione. Un punteggio alto indica una dieta più pro-infiammatoria. Lo strumento è stato sviluppato dagli studiosi dell’Università della Carolina del Sud ed è stato utilizzato in oltre 200 articoli scientifici.

“In uno studio pubblicato nel 2022 su Alzheimer’s & Dementia, i ricercatori hanno esaminato 1.897 partecipanti della coorte di Framingham (analizzata con l’obiettivo di stimare il rischio delle patologie cardiovascolari), con un’età media di 62 anni, che hanno completato questionari sulla frequenza degli alimenti assunti e sono stati sottoposti ad analisi di risonanza magnetica cerebrale”, spiega Michela Matteoli, direttrice dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche e coordinatrice del Neuro Center dell’ospedale universitario milanese Humanitas dove è anche professoressa di Farmacologia. “Gli studiosi hanno trovato che coloro che consumavano più cibi pro-infiammatori – e quindi avevano punteggi DII più alti – mostravano un volume cerebrale totale e della materia grigia più piccolo”. I dati sono interessanti anche se gli autori dello studio avvertono comunque che “è necessaria una replica per confermare i nostri risultati”. 

Una seconda ricerca

Di recente, sulla rivista scientifica Neurology è apparso uno studio che ha ulteriormente chiarito la relazione tra dieta, infiammazione e processo di invecchiamento. “È stato condotto su 1.059 adulti, con un’età media di 73 anni, residenti in Grecia, che non presentavano demenza all’inizio dello studio. I ricercatori hanno seguito queste persone per tre anni: 62 hanno sviluppato demenza”, prosegue l’esperta. “I partecipanti le cui diete avevano un DII più alto avevano tre volte più probabilità di sviluppare demenza durante il periodo di studio rispetto ai partecipanti le cui diete avevano il punteggio infiammatorio più basso. Questi risultati supportano il concetto che la dieta svolge un ruolo importante nel contrastare l’infiammazione nel nostro corpo, favorita anche da stress, stile di vita sedentario e cattive abitudini, come il fumo di sigaretta”. 

La dieta ideale

Non esiste un’unica dieta antinfiammatoria. È lo schema generale a tavola che conta che dovrebbe comprendere:

  • verdure a foglia verde, come spinaci, bietole, cavoli e broccoli, ricche di antiossidanti, incluso la luteina che si è vista svolgere un ruolo importante nel mantenere sano il cervello;
  • frutta come fragole, mirtilli, ciliegie e arance, ricchi di antiossidanti naturali e polifenoli, composti protettivi che si trovano nelle piante;
  • frutta secca come mandorle e soprattutto noci;
  • pesci grassi come salmone, sgombro, tonno e sardine che abbondano di grassi omega-3;
  • legumi, come fagioli e lenticchie, dovrebbero essere consumati almeno quattro volte a settimana, assieme ai cereali integrali;
  • al posto del sale, erbe e spezie che forniscono polifenoli antinfiammatori; olio extravergine d’oliva”. 

Troppi chili “infiammano”

Una dieta povera di fibre può contribuire all’infiammazione riducendo la diversità dei microbi intestinali e diminuendo quelli che hanno un ruolo antinfiammatorio”, conclude Matteoli. “In aggiunta troppi carboidrati raffinati, patatine e cibi fritti, bevande zuccherate, carni rosse (hamburger, bistecche), carni lavorate (hot dog, salsiccia), margarina, grasso e strutto, dolci contribuiscono anche all’aumento di peso che è un fattore di rischio per l’infiammazione”.

Lo stile di vita è nemico del nostro respiro

La principale minaccia dell’apparato respiratorio è lo stress ossidativo. “Può essere favorito dall’esposizione a inquinanti  ambientali, domestici, professionali, virus e batteri”, sottolinea Maria Pia Foschino Barbaro, professore ordinario di Malattie dell’apparato respiratorio all’Università di Foggia. “Il fattore di rischio principale è, però, il fumo di sigaretta: con una boccata inaliamo circa 19 miliardi di radicali liberi, una fonte di ossidazione importante. Ogni volta che si presenta lo stress ossidativo si riduce la capacità del sistema immunitario di far fronte alle aggressioni esterne di virus e batteri, esponendo i polmoni a un possibile danno. Il primo passo da compiere è smettere di fumare. Inoltre lo stress ossidativo favorisce a sua volta processi infiammatori, due condizioni che si alimentano a vicenda e che sono responsabili di  tante malattie croniche, da quelle respiratorie a quelle cardiovascolari o metaboliche”. 

Attività fisica e alimentazione sana

Per aumentare la capacità dei tessuti di eliminare i radicali liberi e favorire una risposta più efficace alle infezioni è importante acquisire buone abitudini: movimento, corretta respirazione e seguire un’alimentazione varia e sana. “Il principale antiossidante delle nostre cellule è il glutatione, è prodotto dal fegato, ma si riduce fisiologicamente dopo i 45 anni e in presenza di stress ossidativo”, continua la professoressa Foschino.

“Un suo deficit può comportare un maggiore rischio di danno polmonare, per questo è importante rigenerarlo e accrescerne le riserve endogene, non solo per contrastare l’azione ossidante, ma anche per incrementare le capacità di difesa immunitaria. Frutta e verdura contengono glutatione, così come alcuni tipi di carne. Tuttavia, parliamo di quantità ridotte e occorre considerare le difficoltà di assorbimento del glutatione da parte dell’organismo. Per questo motivo può essere utile l’N-acetilcisteina (NAC), una molecola che deriva da un amminoacido naturale e che ha la capacità di rigenerare il glutatione, e il consumo regolare di alcuni alimenti: sono i cosiddetti precursori (carne, pollo, pesce e formaggi) che, ricchi di zolfo e selenio, sono in grado di stimolare la glutatione perossidasi, ossia un gruppo di enzimi ad azione antiossidante”.

Quanto ne sanno gli italiani

A causa dello stress ossidativo i polmoni possono invecchiare, anche più rapidamente dell’organo esterno per eccellenza, la pelle. “Da un’indagine sulla nostra salute polmonare condotta nell’ambito della campagna educazionale “Proteggi i tuoi polmoni”, promossa da Zambon Italia, circa 1 italiano su 3 non è soddisfatto della salute dei propri polmoni”, commenta la specialista. “La percentuale aumenta tra i fumatori (54%) e tra chi vive in aree inquinate (35%). Gli insoddisfatti avvertono in misura maggiore i sintomi-segnali di allarme dei polmoni: senso di affaticamento, mancanza di fiato, disturbi del sonno con russamento e apnee notturne, tosse frequente o cronica, iperproduzione di muco, respiri con sibilo o rantoli”.

6 curiosità

  1. Tre italiani su quattro vorrebbero saperne di più su strategie e conoscenza per migliorare la consapevolezza dell’importanza della salute dei polmoni 
  2. Già intorno ai 40-45 anni, il nostro sistema immunitario inizia a invecchiare, con un importante aumento di tale invecchiamento intorno ai 60 anni
  3. L’apparato respiratorio raggiunge il pieno sviluppo attorno ai 25 anni. Dopo i polmoni cominciano a perdere gradualmente la loro funzionalità, anche in assenza di malattie
  4. Avocado, asparagi, spinaci, cavoli, broccoli, noci, mandorle sono ricchi di glutatione, un antiossidante
  5. Non è mai troppo tardi interrompere il vizio del fumo, una scelta che si può compiere a qualunque età
  6. Un fumatore a 40 anni ha la funzionalità polmonare di un settantenne non fumatore 

Facile test per valutare il nostro respiro

L’errore principale che si compie è quello di non pensare al respiro. “La conseguenza è una respirazione soprattutto attraverso la bocca che sfrutta solo la parte alta dei polmoni e che, essendo collegata al sistema nervoso autonomo simpatico ha un effetto ansiogeno che non favorisce il benessere”, dice Maric.

“Respirazione e qualità dell’aria sono importanti: il solo fatto di portare l’attenzione al nostro respiro induce un effetto di rilassamento. Inoltre, lavorare sulla lunghezza della respirazione, sulla frequenza, creando anche momenti nella nostra giornata dove ci soffermiamo per “respirare”, aiuta a rallentare. Se è vero che alcune nostre abitudini non corrette di vita (fumo, sedentarietà, alcol e dieta) hanno un effetto booster sull’invecchiamento, così adottarne altre come il respiro consapevole hanno l’effetto opposto e rappresentano oggi la base del cosiddetto successful aging ossia invecchiare bene.

Esistono diversi test per valutare il nostro respiro. Senza ricorrere a esami strumentali specifici, una prima autoanalisi è di capire se si ha una respirazione nasale o orale, se il respiro è corto/frequente oppure lungo/profondo, se lo percepiamo più su collo, spalle, petto, gabbia toracica o se invece è localizzato più sull’addome. Infine, se si è in buona salute, contare il numero di atti respiratori (inspiro – espiro) compiuti in un minuto: tra i 12 e i 16 è nella norma, se il valore fosse inferiore non è un problema. Se si avvicina a 20 il numero è lievemente alto. Se compreso tra 20 e 25 atti al minuto è mediamente alto, se superiore a 25 indica un alto livello di stress”.

Dal mio articolo su Corriere della Sera inserto Salute

Credito foto in apertura: Patrick Malleret/Unsplash.

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