Capita a tutti di aver bisogno di usare il bagno pubblico di un bar, dell’ufficio, di un treno, di un cinema, di un posto di sosta in autostrada, di un ospedale, di una stazione. E capita a tutti di provare quella sensazione di disagio all’idea di entrare nel luogo considerato il regno di virus, batteri (e odori) e di chiedersi: si può contrarre una malattia infettiva andando in una toilet condivisa?
A sorpresa, la probabilità è meno di quanto si possa pensare, come rilevano i ricercatori di una revisione di studi sulla trasmissione di patologie infettive nei bagni pubblici pubblicata su Science of The Total Environment. “Il pericolo è la possibilità che si verifichi un evento, nel nostro caso un’infezione. Il rischio è la probabilità che questo evento accada. La risposta alla domanda è quindi: sì, è possibile, però è poco probabile se si sa come proteggersi dal rischio, primo fra tutti lavandosi le mani”, spiega Annalaura Carducci, professore ordinario di Igiene generale applicata all’università di Pisa, co-autrice di uno studio pubblicato sulla rivista American Journal of Infection Control in cui ha confrontato la contaminazione microbica e virale di toilet ospedaliere e negli uffici.
Il triangolo epidemiologico
Tirare lo sciacquone “a cielo aperto”, l’insufficiente pulizia del bagno, dei sanitari, delle superfici, l’inefficace asciugatura delle mani, la presenza di cestini della spazzatura non coperti possono favorire una diffusa contaminazione batterica e virale nei servizi igienici. “La presenza di microrganismi patogeni non significa che ci si ammali appena si mette piede in bagno, infezione non vuol dire per forza malattia”, prosegue l’esperta. “La gradualità del rischio si può assimilare a una lotteria. Se compro un biglietto c’è una probabilità che io possa vincere, se ne acquisto due o più ho maggiori chance di farcela, ma non ho comunque una sicurezza. Quello che determina il numero di biglietti che si compra e che di conseguenza aumenta o diminuisce il rischio è una serie di eventi e di criticità che si presentano nei vari passaggi fra i tre punti cardine che costituiscono il cosiddetto triangolo epidemiologico: sorgente di infezione, ambiente e ospite suscettibile. La probabilità finale di ammalarsi è la combinazione di tutti questi step”.
L’effetto aerosol
La sorgente di infezione è rappresentata da chi entra nel bagno e da quello che porta dentro a livello microbico. Alcuni studi scientifici hanno identificato la presenza di norovirus nelle toilet dei luoghi di lavoro, degli aerei e delle navi, la salmonella nei bagni dei dormitori e l’epatite A in quelli delle scuole elementari. “La possibilità di entrare in contatto con i norovirus, molto contagiosi e all’origine delle familiari influenze intestinali, è tra le più comuni”, dice la professoressa Carducci. “Se un individuo affetto da gastroenterite usa un bagno pubblico elimina il virus attraverso le feci. Il soggetto tira poi lo sciacquone e l’effetto aerosol permette al virus, ma in realtà vale per la maggior parte degli agenti patogeni, di arrivare su tutte le superfici del bagno e di “galleggiare” nell’aria: ecco la prima potenziale via di contagio”.
Un volo di 6 metri
Le particelle d’acqua contaminata dai germi possono fluttuare nell’aria fino a 6 metri di distanza: lo hanno calcolato i ricercatori di un’indagine della New York University. Non solo. Una simulazione al computer pubblicata su Physics of Fluids ha mostrato che l’acqua nel water genera un vortice che sposta l’aria nella tazza. Questo vortice si muove verso l’alto e la forza centrifuga spinge fuori circa 6.000 goccioline più o meno grandi. “Il destino dell’aerosol è complesso e porta al secondo elemento del triangolo epidemiologico: l’ambiente”, continua Carducci.
“Le particelle più grosse cadono in prossimità della tazza del water, del coperchio, del pavimento e delle superfici attigue; quelle più piccole restano sospese nell’aria, possono essiccare ulteriormente diventando ancora più minuscole e rimanendo così sospese a lungo. Essendo più leggere possono raggiungere anche le superfici più lontane favorite, per esempio, dallo spostamento d’aria che si crea quando si apre la porta. La stessa persona affetta da gastroenterite può essere di per sé un’ulteriore fonte di aerosol perché l’emissione di feci, che spesso si accompagna a quella di vomito, è violenta ed esplosiva”.
L’importanza di lavarsi le mani nel bagno pubblico
A questo punto il soggetto-sorgente di infezione apre la porta della toilet, a volte si lava le mani ed esce. Come rivela uno studio, non è un caso che batteri fecali siano stati trovati sulle maniglie degli sciacquoni dei bagni pubblici. La presenza di batteri legati alla pelle, come stafilococchi e streptococchi, è stata registrata sulle porte dei bagni, sulle maniglie dei rubinetti e sui distributori di sapone. “Qui entra in gioco l’ultimo elemento del triangolo epidemiologico: l’ospite suscettibile, l’individuo che usa il bagno dopo la sorgente infettiva. La sua esposizione al rischio può variare a seconda della sua fragilità o meno, dell’efficacia e dell’efficienza del suo sistema immunitario, delle vaccinazioni verso i patogeni potenzialmente presenti, dell’attenzione che presta ai piccoli gesti. “Le mani sporche con cui ci tocchiamo il viso, come ci ha insegnato la Covid, sono un’importante via di potenziale contagio”, precisa Carducci.
“E’ facile capire come la miglior difesa quando si entra in un bagno pubblico sia sempre un adeguato lavaggio delle mani con acqua a temperatura confortevole e sapone. Eppure molte persone non lo fanno o non lo fanno nel modo giusto. Anni fa era stata condotta una ricerca nella toilet di un aeroporto. Un osservatore si era messo all’interno e non chiedeva nulla, l’altro si era posizionato al di fuori e domandava a chi usciva se si fosse lavato le mani. Tutti rispondevano di averlo fatto, un comportamento virtuoso a cui a nessuno piace ammettere di non rispettarlo, ma non era vero. Era emersa, infatti, una discrepanza enorme nella corrispondenza tra i due valori”.
Che cosa ci protegge
“Il rischio di infezione dipende anche da altri fattori: quanta vitalità ha il microrganismo, ossia la sua capacità di infettare le cellule, e qual è la sua longevità perché, per esempio, i norovirus o il virus dell’epatite A sono molto resistenti, la salmonella muore rapidamente; la relazione dose-infezione, quindi quanta carica microbica è necessaria per farci ammalare; quanto tempo una persona sta dentro alla toilet; quanto tempo passa tra un ingresso e l’altro; quanto il bagno è frequentato e ogni quanto viene pulito e come. La ventilazione senza ricircolo o la finestra aperta sono rimedi importanti per disperdere l’effetto aerosol. La pulizia frequente di pavimenti, sanitari e superfici di appoggio con prodotti adeguati uccide la vitalità dei microrganismi patogeni. Un’ottima combinazione per sanificare i bagni pubblici è di ridurre in parte i prodotti chimici nel rispetto dell’ambiente e sostituirli con i raggi ultravioletti che disinfettano le superfici visibili”, conclude l’esperta.
9 semplici misure per proteggersi
- Meglio non appoggiarsi sull’asse. Ricoprirla con carta igienica o copriasse non è la scelta migliore: trovandosi in bagno vi si depositano germi ogni volta che si tira lo sciacquone. Usare propri fazzoletti di carta.
- Se si pulisce l’asse con salviette disinfettanti, gettarle nel cestino e mai nel water. L’effetto aerosol dello sciacquone ridistribuirebbe le particelle potenzialmente infette sulle superfici del bagno e nell’aria.
- Prima di tirare lo sciacquone chiudere, aiutandosi con un pezzetto di carta, il coperchio del water sia per proteggersi sia per gentilezza nei confronti di chi entrerà dopo.
- Ricorrere a un pezzetto di carta o a una salvietta per tirare lo sciacquone, per aprire e chiudere il rubinetto del lavandino, per avviare l’asciugatore ad aria per le mani.
- Ricercatori hanno notato che il getto d’aria degli asciugatori per le mani può favorire una maggiore contaminazione dell’ambiente: stare poco tempo sia in bagno sia nell’antibagno.
- Asciugarsi sempre le mani, se possibile con un asciugamano di carta. I batteri aderiscono meglio sulle mani bagnate e quindi si possono depositare con più facilità anche su altre superfici.
- Aprire la porta del bagno con la spalla o con il gomito. Se è necessario tirarla, ricorrere all’asciugamano di carta usato per le mani e poi gettarlo in un cestino fuori dalla toilet.
- Se si ha una borsa o uno zaino, evitare di appoggiarli a terra. Il pavimento è una delle superfici più sporche anche perché si portano dentro altri virus e batteri con le scarpe. Niente cellulare in mano, riporlo nella borsa per evitare di contaminarlo.
- I bambini corrono più rischi per la maggiore suscettibilità a infezioni intestinali e respiratorie e per la maggiore probabilità che tocchino le superfici e poi si mettano le mani in bocca. Educarli fin da piccoli ai comportamenti corretti, come il lavaggio delle mani.
Si può prendere il Covid nel bagno pubblico?
Gli agenti patogeni di un’infezione respiratoria, come Covid o influenza, fuoriescono principalmente attraverso l’atto dello starnuto e del colpo di tosse. “L’effetto aerosol che queste azioni provocano ha la stessa dinamica di quello prodotto dalla toilet: le particelle più grosse cadono, quelle più leggere resistono più a lungo nell’aria”, puntualizza la professoressa Carducci. “Quindi, la via più facile di trasmissione delle infezioni respiratorie è per inalazione attraverso la bocca, il naso e il contatto con le mani sporche. Il modo migliore di proteggersi è, se si ha la possibilità, mantenere la mascherina sul viso e, ancora una volta, lavare bene le mani. E’ vero che studi hanno messo in luce la presenza dell’RNA del SARS-CoV-2, responsabile dell’infezione da Covid-19, nelle feci delle persone infette, ma la probabilità di trasmissione dei virus respiratori per via oro-fecale è bassa”.
Quale scegliere se ci sono più stanze nel bagno pubblico
Spesse volte il bagno pubblico è costituito da una serie di box, tipicamente accade in aeroporto, per esempio. Il criterio visivo resta il migliore prima di scegliere in quale stanza entrare. Un ricercatore dell’Università della California, però, è andato oltre: come si legge su Psychological Science, ha monitorato per dieci settimane la quantità di carta igienica utilizzata in ciascuno dei quattro box di un bagno pubblico. Al termine del periodo studiato, è emerso che il 60 per cento della carta veniva consumata soprattutto nelle due stanze centrali, le più scelte dai frequentatori. A parità di frequenza di pulizia, si suppone quindi che le toilet più in ordine dovrebbero essere quelle alle estremità.
Uno sguardo alla toilet di casa
John Oxford, professore emerito di Virologia presso la Queen Mary University di Londra, ha dichiarato alla BBC: “Le persone dedicano molto tempo alla pulizia del water, ma sarebbe bene che prestassero più attenzione al bagno”. Si pensi, per esempio, agli asciugamani. “Vi si depositano squame cutanee, muco, saliva, funghi e, su quelli da bidet, materiale fecale. L’ambiente caldo umido favorisce la proliferazione di batteri e funghi, ma non bisogna farsi prendere da alcuna paranoia per la contaminazione microbica”, raccomanda Annalaura Carducci. “I microbi fanno parte della nostra vita: si stima che le informazioni genetiche contenute nel DNA dei microbi che abbiamo nel corpo (microbioma) siano di più di quelle contenute nel DNA umano. Non arriviamo alla sterilizzazione degli ambienti, è una condizione che non si addice all’uomo. L’importante è capire quali sono le possibili infezioni pericolose e imparare a evitarle con azioni semplici e costanti:
- oltre a lavarsi spesso le mani e pulire bene il bagno, cambiare gli asciugamani un paio di volte alla settimana;
- non condividerli, neppure tra i familiari;
- lavarli a 60 °C per eliminare i più comuni funghi e batteri;
- non tenere mai scoperti sul lavandino gli accessori da bagno come lo spazzolino da denti o il rasoio per proteggerli dall’effetto aerosol di wc e bidet;
- preferire il dispenser di sapone alla saponetta;
- cambiare frequentemente l’aria”.
Quanti microrganismi su oggetti di uso comune
Ricercatori dell’Istituto Federale Svizzero di Scienze e Tecnologie Acquatiche, insieme al dipartimento di Ingegneria civile dell’Università dell’Illinois, hanno invece studiato 19 giocattoli da bagno e sul 58% hanno identificato funghi che potenzialmente possono causare infezioni agli occhi, alle orecchie o gastrointestinali. Insomma, spesso ci si preoccupa dei bagni, ma ogni giorno si viene a contatto con milioni di microbi depositati su oggetti di uso quotidiano, dal bancomat agli interruttori della luce. Studiosi dell’Università dell’Arizona hanno trovato tracce di salmonella nel 10 per cento delle mille spugne per i piatti analizzate, con una percentuale di batteri del 400 per cento in più rispetto al water. Lo smartphone ha (dipende dall’uso e dalla pulizia) circa 10 volte i batteri di un sedile di un WC e i menu cartacei cento volte.
Qualche numero
- 1 metro e mezzo è l’altezza dell’effetto aerosol di uno sciacquone, come dimostrano gli studi.
- 1 ora o più è quanto le particelle prodotte dall’aerosol possono stare nell’aria prima di depositarsi sulle superfici circostanti.
- 50 volte: la riduzione della presenza di germi sulla tavoletta del wc usando salviette antisettiche.
- 20 secondi è il tempo da impiegare per lavarsi bene le mani, strofinandole con il sapone, dopo aver usato la toilet.
Quando diventa una forma di ansia: la sindrome della vescica timida
Il timore di usare il bagno pubblico può trasformarsi in una vera e propria forma di ansia. Si chiama urofobia o sindrome della vescica timida, paruresis in lingua inglese. “Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), elaborato dall’Associazione Psichiatrica Americana, definisce una fobia specifica, come quella del sangue, degli animali o degli aghi, quella condizione chiara in cui c’è una paura persistente e sproporzionata rispetto a un oggetto o a una situazione. Nonostante il nome possa ingannare, l’urofobia non è una fobia specifica, nonostante alcuni la considerino come una condizione a se stante”, dice Davide Carlotta, psicologo psicoterapeuta, consulente del servizio di Psicologia clinica e psicoterapia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro, docente presso la Scuola di specializzazione in Psicologia clinica della facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
Di che cosa si tratta?
“Può essere un sintomo di un’altra condizione, nota come fobia sociale la quale rientra tra i disturbi d’ansia. Riconosciuta a livello scientifico, indica una marcata paura nelle situazioni in cui il soggetto è esposto al possibile giudizio altrui. Nel caso specifico del bagno, questo può tradursi nell’incapacità di urinare o di avere una minzione efficace se sono presenti altre persone nelle vicinanze che possono vedere o sentire mentre si è nella toilet e, di conseguenza, far nascere il timore di essere valutati negativamente”.
Gli urofobici possono, nelle situazioni più serie, limitare anche molto la vita sociale?
“E’ così, la persona mette in atto condotte di evitamento per non aver bisogno di andare in bagno, come bere poco quando è in giro, non frequentare ristoranti, cinema o locali. Questo atteggiamento impedisce al soggetto di aggiornare i propri schemi e di migliorare il proprio stato di ansia perché non si espone mai a un possibile risultato diverso”.
Quali sono le strategie per aiutare questi pazienti?
“Quella principale è l’esposizione in vivo, un intervento di tipo comportamentale. Il soggetto viene a poco a poco esposto alla situazione temuta per indebolire l’associazione tra la condizione di bagno pubblico e la risposta di ansia. Si può, per esempio, stimolare la persona con paruresis a usare il bagno in casa di altri, prima senza nessuno vicino, poi con persone nella stanza accanto, poi dietro la porta. Per fare ciò, al soggetto possono essere insegnate tecniche per gestire la risposta ansiosa riducendola a un livello tollerabile. Altri interventi sono di tipo cognitivo. La persona può essere “bloccata” da convinzioni non realistiche legate, per esempio, a una distorsione della propria immagine corporea e vive con disagio l’esporre parti solitamente private. In questo caso è importante lavorare sull’auto percezione di sé”.
Nick Haslam, professore di Psicologia all’università di Melbourne (Australia) e autore del libro Psychology in the Bathroom, mette in luce il fatto che i genitori insegnano ai figli piccoli come l’atto di andare in bagno si fa isolato dagli altri, creando una sorta di tabù sull’argomento. Questo può influire sull’origine dell’urofobia?
“Alcune esperienze precoci, come eventi spiacevoli legati al bagno, possono avere un ruolo. E’ importante ricostruire la storia di ogni paziente per poter formulare strategie di intervento personalizzate”.
L’urofobia si associa ad altre ossessioni?
“La fobia dei germi può presentarsi in associazione, è però una condizione diversa: la persona non usa il bagno pubblico per il rischio di esporsi a virus e batteri”.
Quanto è diffuso questo disturbo?
“I dati di prevalenza sono molto variabili, le stime più affidabili vanno dal 3% al 6% della popolazione. Si sa, poi, che la fobia sociale colpisce di più le donne anche se, rispetto agli uomini, la differenza è di pochi punti percentuali”.
Tutto sulla vescica
Una vescica sana può contenere circa 300-400 ml di liquidi, l’equivalente della capacità di una lattina. Quando si riempie, il cervello, attraverso il sistema nervoso centrale, riceve il segnale del cosiddetto stimolo di andare in bagno. Tuttavia c’è chi a quello stimolo risponde trattenendo l’urina, soprattutto se la soluzione è quella di entrare in un bagno pubblico. “In questo modo si rischia di favorire lo sviluppo di infezioni delle vie urinarie”, avverte Giorgio Gandaglia, urologo presso IRCCS Ospedale San Raffaele e ricercatore presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Perché cresce il rischio di infezioni?
“La vescica è un organo estremamente elastico. Quando è riempita al 50 per cento inizia a fornire i primi segnali dando uno stimolo al sistema nervoso centrale. L’impellenza di urinare si ha quando la vescica raggiunge livelli di riempimento più importanti. Trattenere l’urina saltuariamente non rappresenta un rischio. Al contrario, l’abitudine di trattenerla anche in presenza di uno stimolo importante può accrescere la probabilità di sviluppare patologie dell’apparato urinario tra cui infezioni delle vie urinarie. L’urina stagnante a sua volta può facilitare la proliferazione di batteri patogeni e lo sviluppo, per esempio, delle cosiddette cistiti, disturbo circa 30 volte più frequente nelle donne”.
Come si forma l’urina?
“I reni ricevono circa un quinto della gittata cardiaca, in modo continuo. E’ un volume di sangue considerevole se si pensa al loro minuto volume. Tuttavia, è grazie a questa ingente irrorazione che i reni possono adempiere alla loro azione di filtro. Producono l’urina come prodotto di scarto contenente acqua (95%) e componenti inorganiche (sali) e organiche (urea, creatinina, acido urico, aminoacidi) non più utili all’organismo. Attraverso i condotti degli ureteri l’urina gradualmente raggiunge la vescica e viene, infine, eliminata attraverso l’uretra”.
Trattenere l’urina indebolisce i muscoli vicini alla vescica, condizione che può favorire le infezioni?
“Sia nell’uomo sia nella donna non urinare in maniera regolare può aumentare la probabilità di una sovradistensione vescicale. Se questa condizione diventa cronica, si possono verificare alterazioni strutturali delle pareti della vescica. Il pericolo è che questo “serbatoio” perda la capacità di contrarsi in maniera efficace, svuotandosi solo parzialmente. La persistenza di un residuo di urina dopo la minzione incrementa il rischio di infezioni a carico delle vie urinarie. Bisogna inoltre sottolineare come le alterazioni strutturali e funzionali della vescica legate a un mancato svuotamento possano determinare un residuo post-minzionale che non è necessariamente associato allo stimolo continuo di dover andare in bagno. Al contrario, le alterazioni vescicali possono comportare una perdita parziale dello stimolo che fa “sentire” la vescica piena. Problematiche da non sottovalutare: alla lunga possono anche compromettere la funzionalità renale”.
6 curiosità
- Caffeina o l’alcol possono essere irritative e aumentare la frequenza minzionale.
- Il 50% delle donne soffre di cistite almeno una volta nella vita.
- Un terzo delle donne ha episodi di cistite prima dei 25 anni.
- L’uretra della donna è più corta rispetto a quella dell’uomo ed è vicina alla vagina e all’ano: per queste ragioni anatomiche, il rischio di infezioni cresce anche per la migrazione di virus e batteri dal tratto gastrointestinale all’apparato genito-urinario.
- Per quanto sia descritta nella letteratura scientifica la possibilità di rottura della vescica, è poco frequente per cause legate al trattenere in maniera volontaria l’urina.
- Le persone più a rischio di infezioni quando posticipano cronicamente la minzione sono gli adulti con patologie prostatiche o le donne che hanno una storia di cistite.
Malattie da contatto e sessuali: il rischio nel bagno pubblico
Una delle preoccupazioni più comuni è quella di sedersi su una tavoletta del wc contaminata e di contrarre infezioni da contatto o sessuali. “Meglio evitare di appoggiarsi, ma si consideri che le infezioni da contatto sono poche e in genere sono facilitate da lesioni della cute”, dice la professoressa Carducci. “La pelle intatta è una barriera efficace contro i germi e, in particolare, quella di natiche e di gambe è abbastanza spessa e ha meno probabilità di essere screpolata rispetto, per esempio, a quella più delicata di mani o viso. Possono fare eccezione le infezioni cutanee causate dallo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, un batterio resistente a diversi antibiotici e quindi difficile da trattare. Rilevato nei bagni pubblici, anche in quelli degli ospedali, non è però ben documentato quanto spesso questa potenziale infezione possa accadere. In ogni caso il rischio si riduce al minimo disinfettando la tavoletta con una salvietta”.
“Altro discorso per quanto riguarda la possibilità di contrarre malattie sessualmente trasmissibili. Un soggetto infetto espelle dalle vie genitali i microrganismi all’origine di queste patologie, ma la maggior parte della letteratura scientifica e degli enti di sanità pubblica sono concordi nell’affermare che sedendosi su un water la probabilità di infettarsi è trascurabile. Questo tipo di infezioni si trasmette solo per via sessuale perché implica un contatto con le mucose, non con la cute”, precisa Carducci. “Inoltre, agenti patogeni come quello della gonorrea e la clamidia non sopravvivono a lungo sulle superfici”.
Lo sapevi che…
- Fino al 90% dei casi le donne giovani preferiscono posticipare la minzione trattenendo l’urina perché non a proprio agio nel bagno pubblico.
- Circa 180-190 litri di sangue vengono filtrati dai reni ogni giorno in un processo continuo.
- Tra i 200 e i 400 ml (media 350 ml) è la capacità della vescica di un adulto sano.
Dal mio articolo su Corriere della Sera inserto Salute
Credito foto in apertura: Sung Jin Cho/Unsplash.
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