Se vi chiedessero di definire che cos’è un cereale integrale e non foste in grado di farlo, sappiate che non siete gli unici. E’ quanto emerge da uno studio osservazionale su un campione di circa 40mila adulti pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition. Nonostante la crescita registrata nel consumo di cereali integrali, che varia dal 40 al 62% a seconda della definizione utilizzata dagli studiosi, non se ne assumono ancora abbastanza. A influire, fanno notare gli autori, anche la mancanza di una definizione standard di integrale da parte delle varie istituzioni che adottano criteri differenti per qualificare questi cibi.
Cosa si intende per cereali integrali
“Il vero cereale integrale è il chicco che conserva tutte le sostanze benefiche: la crusca, che è lo strato esterno di protezione, ricca di fibre e di antiossidanti; l’endosperma, che si caratterizza per la presenza di amidi e di proteine e che rappresenta il serbatoio di riserva energetica del chicco necessario per la crescita e lo sviluppo del germoglio e della pianta; il germe, che è la parte più viva del chicco da cui parte la germogliazione e la crescita della pianta, è ricco di grassi essenziali, di vitamina E e del gruppo B e di minerali come magnesio, manganese e fosforo”, spiega Stefano Erzegovesi, medico nutrizionista e psichiatra, esperto in nutrizione preventiva e disturbi alimentari.
Che cosa c’è scritto in etichetta
“Il prodotto integrale si riconosce se in etichetta c’è la dicitura “farina integrale” e non “farina di frumento” (quindi raffinata) abbinata a varie percentuali di crusca, cruschello o altre farine. L’aggiunta del cruschello serve a far sembrare integrale un prodotto che non lo è. Sia chiaro, non è nulla che faccia male alla salute. Durante la raffinazione, il chicco viene privato della crusca e del germe e l’endosperma viene tritato finissimamente per ottenere la farina bianca che si conserva meglio e ha una migliore lavorabilità in cucina permettendo impasti resistenti e che lievitano bene.
Questi vantaggi sono, però, anche svantaggi: alto carico glicemico, carenza di fibre, di antiossidanti, di vitamine e di minerali. Da qui l’importanza di consumare, salvo diverse indicazioni mediche, differenti cereali integrali tutti i giorni, creando quella “orchestra vegetale” in cui i contenuti nutrizionali di ogni singola specie si combinano in un’azione sinergica. Quindi va bene il frumento, che è il cereale più consumato, ma non dimentichiamo per esempio il riso, il farro, il grano saraceno, sia come farina sia come chicco intero”.
Introdurli poco per volta
Se il nostro intestino non è abituato ai cereali integrali è bene introdurli per gradi. “Così si “allenano” i batteri del microbiota alle fibre, che possono gonfiare se non le mangiamo con regolarità, e si “allena” il palato alla presenza di antiossidanti che hanno spesso un retrogusto amaro. Le zuppe della tradizione mediterranea, come quella di farro, lenticchie e cavolo nero, sono un ottimo primo passo”, conclude l’esperto.
3 curiosità
- Multicereale è una miscela di farine in cui può essere presente anche quella raffinata. Controllare in etichetta che ci sia la dicitura “farina integrale”.
- Gli pseudocereali, come quinoa o grano saraceno, hanno caratteristiche nutrizionali simili ai cereali e per questo si considerano tutti insieme nonostante appartengano a specie botaniche diverse.
- Per introdurre per gradi le fibre, unire al classico piatto di pasta o di riso un cucchiaio (occhio ai tempi di cottura diversi) di pasta o di riso integrale fino ad arrivare, in un mese, a consumare il piatto tutto integrale.
Dal mio articolo su Corriere della Sera inserto Salute.
In più: Come si riconosce se l’alimento è scuro perché è veramente integrale e il rischio acrilammide
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Credito foto in apertura: tangyi178/Pixabay.
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